martedì 22 novembre 2016

I poeti scendono in piazza Affari, a Milano, per celebrare il Culto della Bellezza (prima parte di una conversazione con Tomaso Kemeny)

"Non sono il mattatore-mitomodernista, ma semplicemente colui che ha avuto l'idea a cui altri convergono e liberamente esprimono la loro protesta." Tomaso Kemeny

Precedentemente, mi ero già interessato alle questioni riguardanti i Mitomodernisti, un movimento di poeti che spinti a contrastare l'Impero del Brutto avevano affermato con azioni eclatanti la loro volontà di far rinascere il bello ed i valori umanistici che hanno reso grande la stirpe dell'uomo. Riporto di seguito, per comprenderne meglio gli intenti, la prima parte di una piacevole conversazione avuta lo scorso 18 novembre con Tomaso Kemeny, un poeta molto noto a livello internazionale che è stato uno dei promotori di questo progetto culturale, insieme a Pietro Berra, Flaminia Cruciani, Germain Droogenbroodt, Mirna Ortiz, Paola Pennecchi, Gèza Szocs, Angelo Tonelli e tanti altri poeti, anche non mitomodernisti. TG

Tony Graffio: Questo mondo ha sicuramente bisogno di bellezza, troppe cose brutte accadono e troppa gente ha perduto il senso estetico, oltre che forse tutti i canoni di riferimento etici e culturali. Voi poeti che cosa vi proponete di fare con l'azione di protesta che avete in programma per il giorno 3 dicembre 2016, sugli scalini della Borsa, in Piazza degli Affari, a Milano?

Tomaso Kemeny: Oggi domina l'Impero del Brutto che si articola su vari piani: economici, prima di tutto; politici; oltre che di violenze e di religioni che spuntano con le armi in pugno, come ben si sa. Persino nelle arti spesso domina il mercato sul valore estetico. Ciò significa, enunciando un facile slogan, che tutto ha un prezzo e niente ha un valore. La bellezza invece è l'unica cosa che non è pagabile.

TG: Anche l'amore, non crede?

TK: Vero, solo che l'amore non può essere collettivizzato. In genere, è un sentimento che si vive tra due persone; nei casi più viziosi anche tra tre o quattro, però è qualcosa che sfugge alla socializzazione.

TG: Esiste un rapporto tra la bellezza e l'amore?

TK: Dipende, perché la parola “Amore” è ambigua. L'amore sessuale-sentimentale è: “io e tu”, “tu ed io”; mentre l'amore della bellezza è sempre: “noi”. Cioè, un fatto collettivo, soprattutto in un paese come questo dove ci sono i grandi mattatori, i grandi individualisti e la mancanza del senso comune. L'Italia è, o dovrebbe essere, il paese della bellezza intesa come: “noi”.

TG: Maestro, lei ritiene che imperi il brutto poiché ci troviamo a vivere in un'epoca di decadenza?

TK: E' un po' la conseguenza dei vari interessi che si sono accumulati. Per esempio, In Tibet la Cina fa quello che vuole e nessuno dice niente perché la Cina è un paese molto potente; mentre se Israele strappa un pelo della barba di un arabo accade di tutto... Cosa vuol dire? Giustamente, si reagisce contro i meno forti, mentre si subisce qualsiasi cosa da parte dei più forti. Queste situazioni esprimono bene l'idea del brutto. Shiller aveva scritto un libro piuttosto importante sull'educazione estetica. Ritengo che quel testo oggi sia ancora più importante. Naturalmente, l'educazione estetica non è soltanto la moda, il modo di presentarci o la formalità, ma soprattutto l'essenza: quella luce che potremmo chiamare anima. Ognuno di noi ha dentro di sé tutto il cosmo, ma non ha il tempo di vederlo... Quando Kant diceva: il cielo stellato sopra di me... Io direi anche: il cielo stellato dentro di me.

TG: In che senso?

TK: Sono i greci che hanno inventato il culto della bellezza e dicevano che il cielo stellato Uranos aveva posseduto Gea, la Terra, ed avevano avuto la figlia Mnemosine, la memoria, che era la madre delle Muse. Ergo, tutto ciò che è estetico è cosmico in un rapporto tra la Terra e l'Universo. Questo è il respiro ampio dei greci, poi le poetiche si sono un po' impoverite diventando molto più commerciali, ai nostri giorni. Questo è il problema, mentre non era ancora così nell'Ottocento, anche se Beaudelaire che era già contro l'Impero del Brutto diceva: “Se scrivo una poesia il cane abbaia, ma se all'angolo della strada gli faccio sentire il piscio di una cagna, scodinzola.”. Così è il gran pubblico. Non si sapeva ancora cosa sarebbe successo più tardi con la globalizzazione.

TG: Il brutto lo possiamo trovare in tutti i campi?

TK: Sì, ci sono anche opere belle, ma anch'esse vengono un po' contaminate. Questo non è solo colpa del Liberalismo, ma di un sistema generale di valori in cui, se un grande come Aragon diceva che l'unico Dio rimasto era il caso, non c'è più provvidenza. Questa era un'idea surrealista. Adesso, io credo che nemmeno il caso c'è più perché è dominato dal dio denaro.

TG: Allora, i mali di questa nostra epoca contemporanea sono la globalizzazione, la perdita d'identità culturale e la divinizzazione del denaro?

TK: Sì. Essendo morti tutti gli altri valori. Nietzsche diceva: “Dio è morto...”, ma era solo l'ouverture di quello che sarebbe successo dopo. Adesso, non solo Dio è morto, ma sono scomparsi gli angeli protettori dell'uomo, sono rimasti solo i diavoletti tentatori. Il Consumismo è basato proprio su queste figure che fanno comprare oggetti che non servono. Il movimento Mitomodernista è rivoluzionario proprio nel piccolo, perché ritiene il dono alternativo al consumo. Il dono è un rapporto reciproco tra persone, mentre il consumo mette in relazione l'uomo con un oggetto. Io e la cravatta; io e la scarpa; io e la macchina... Il consumo che in sé sarebbe un bene, diventa un male quando nell'Impero del Brutto l'individuo non viene valorizzato per quello che è, ma per quello che possiede.

TG: C'è un'alternativa al Consumismo?

TK: Naturalmente, per gli esteti sarà il dono. Questo nuovo sistema non potrà sovvertire la struttura economica mondiale, però potrà portare un po' di luce nella psiche umana.

TG: L'alternativa è agire per il piacere di fare?

TK: Sì, un ritorno all'autenticità. E' difficile definire l'autenticità: il problema è che gli dei sono stati introiettati dalla scienza psicanalitica, per cui non c'è più Venere, Marte, eccetera, ma permangono solo i sintomi del malessere. Oggi, c'è un sintomo narcisista che ci fa capire come non siano più gli dei a dominare, ma le manie. Ormai, se non si appare si crede di non essere. Questo però è solo un sintomo del malessere che viviamo. Il vero problema è il denaro, la smania di possesso, la capacità d'acquisto. E' crollata anche l'idea Marxiana delle classi sociali: non c'è più lotta di classe, ma lotta d'acquisto.

TG: Maestro, qualche mese fa a Roma, i Mitomodernisti sono andati a Roma e sotto la statua di Giordano Bruno hanno bruciato il denaro. Questa nuova azione che farete a breve in Piazza degli Affari, a Milano, è collegata alla protesta romana?

TK: Noi abbiamo iniziato nel 1980 a manifestare contro certi falsi valori. Non abbiamo avuto fortuna, però siamo riusciti a sensibilizzare una piccola società all'interno della società e a portare le persone in piazza ad agire nel rispetto di certi principi, come la donazione e non favorire il divismo individuale. Almeno, si spera che sia così... Certamente anche questa nostra azione è legata in maniera simbolica alla protesta per la divinizzazione del denaro. Il denaro è utile perché il mio denaro vale come quello di un altro cittadino e non c'è discriminazione. Si tratta di un fatto democratico, ma diventa un fatto di repressione quando capita che qualcuno abbia 70 miliardi di dollari ed io soltanto due euro in tasca. Il denaro può essere un bene democratico, ma nell'Impero del Brutto troviamo diseguaglianze eclatanti che non vediamo più in chiave Marxiana, ma in chiave estetica. Se pensiamo ad un personaggio come Trump, sempre circondato di belle donne, ci accorgiamo che è il ricco che ha il segno del divino, cioè del trascendente, ovvero di ciò che trascende la corporeità. Si potrebbe essere anche piccoli e gobbi, ma con 70 miliardi di patrimonio si diventa molto appetibili. In questo caso si è colpiti dalla grazia. Non è più la grazia divina, ma la grazia del denaro. Questa non è retorica, ma un fatto fenomenologico. Già Mosé scendendo dal monte Sinai aveva contestato contro l'adorazione del Vitello d'oro. Noi siamo molto meno significativi, pur non avendo il decalogo e non avendo parlato con Dio, però abbiamo parlato con le stelle e l'Universo che dicono che quello che conta è l'armonia e l'armonia vuol dire giustizia e bellezza. Tutto quello che manca al mondo.

TG: Solo i poeti, in quanto non vendono la loro arte e sono un po' fuori dal commercio, possono permettersi di protestare e cercare di risvegliare le coscienze degli uomini medi scendendo in piazza a gridare la loro indignazione davanti a questo sistema di cose?

TK: Io direi che i poeti, come tutti gli altri, sono un po' contaminati dall'Impero del Brutto, solo che cercano di superare questa condizione. Non diciamo che noi siamo i migliori, ma che la poesia è di tutti e di nessuno, però rivela a coloro che la praticano, la disarmonia. Senza essere cristianamente umili, ma solo oggettivamente consapevoli della propria piccolezza, si cerca quello che Nietszche chiamava l'Oltreuomo; non di diventare superuomini che è una traduzione sbagliata, ma di andare al di là dell'integrazione dei pregiudizi di un'epoca per cercare di vedere che cosa ci unisce all'Universo. Anche un non poeta può partecipare alle nostre azioni.

TG: Allora perché lo fanno proprio i poeti?

TK: Il fatto che i poeti non navighino nell'oro potrebbe essere una risposta, ma non basta. Parteciperanno a questa azione anche persone che non hanno a che vedere con la poesia, perché sentono di voler andare al di là dei confini del: “do ut des”.

TG: Può farmi qualche esempio di quando i poeti sono scesi in strada a protestare, nel passato, per risvegliare la gente?

TK: Sì. Sándor Petőfi ha scatenato nel 1848 la rivoluzione magiara contro gli Asburgo, cadendo poi in battaglia, come soldato semplice, contro le truppe zariste in Transilvania. Dal Circolo Petőfi di Budapest è sorta la sollevazione contro la tirannia sovietica, nel 1956.

TG: Le cosiddette “istituzioni” o il “sistema”, si accorgono che è grave quando un poeta scende in piazza per dire: “Così non va!”?

TK: No. In genere, in questi casi il poeta viene esiliato, vedi Ovidio che quando Augusto vuole essere epicamente cantato il poeta preferisce comporre le sue "Metamorfosi" (che hanno ispirato la poesia italiana da Dante in poi). Virgilio compone l'"Eneide" che inneggia alle origini mitiche di Roma e di Augusto. Ovidio viene allontanato da Roma per apparenti motivi. L'Eneide di Virgilio è un'opera immortale, un capolavoro, ma è chiaramente un'opera per il regime. Esiste il poeta che s'adegua, il poeta non è per forza un rivoluzionario o una coscienza della tribù. Ci sono poeti, anche grandissimi, che nuotano nel conformismo, poeti cortigiani. Più che ai poeti, è ai cittadini che credono nei valori della fratellanza, della libertà e dell'uguaglianza, secondo i termini delle Rivoluzione Francese, che è dato il compito di difendere i diritti dell'uomo. "Poetry and Discovery" è invece un movimento che ritiene di dover diffondere i valori che rendono la vita dell'uomo e della donna "bella".

TG: Il poeta però è anche un filosofo, è un intellettuale che è una guida un po' anche per gli altri artisti. Ho parlato con moltissimi e quasi tutti leggono poesia, citano poeti che prendono ad esempio. Perché? I poeti riescono a descriverci ed a sintetizzare meglio di altri quello che ci circonda?

TK: In Italia, per esempio, i poeti erano sempre col potere, però un Alfieri ha scritto sul tirannicidio, forse per questo è onorato in tutti i paesi eccetto che in Italia. Byron che era un poeta rivoluzionario amava Alfieri. Pasolini è stata un'altra figura importante del dissenso italiano. Ci sono dei poeti che sono dei fari e per questo diventano un riferimento per molti. Adesso, in quest'epoca del brutto, si cerca però di distruggere gli antenati validi ed io mi arrabbio molto, si sono dette delle falsità su Freud solo per fare notizia; allo stesso modo, sono state dette delle cose di Marx poco edificanti. Ma ciò che mi ha fatto veramente infuriare l'ho letto l'altro giorno su l'inserto di Venerdì, dove s'è parlato di André Bréton che io considero la persona più elevata che ho conosciuto, come uno che fosse comunista senza dirne i motivi e il suo trozkismo. Come se il Surrealismo fosse stato un movimento di stravaganti e folli.

TG: Il tempo distorce la realtà dei fatti se non si conservano documenti probatori.

TK: Non solo il tempo, oggi si tenta deliberatamente di distruggere i validi. Bréton era entrato nel Partito Comunista al tempo del Nazismo, nella speranza di combattere le dittature e nella speranza di una rivoluzione surrealista, ma fu espulso un anno dopo andando a Mosca a portare il latte in polvere ai bambini che morivano di fame, perché il sistema comunista non funzionava. Quando s'è reso conto che il latte in polvere lo accaparrava solo chi apparteneva al partito per portarlo ai propri figli, ha schiaffeggiato il ministro della cultura sovietico. Poi è andato in Messico da con Trozkij a stendere un manifesto degli antinazisti, ma non stalinisti... Trozkij è stato ucciso, come sappiamo tutti. Quindi possiamo non condividere il suo punto di vista, ma dire che era stalinista fa ridere i polli! Sarebbe come dire che Ungaretti era fascista, solo perché il Duce ha fatto la prefazione del suo primo libro, onde per cui, nonostante fosse il più grande poeta del Novecento, dopo D'Annunzio, non ha mai ricevuto il Nobel. Mentre forse, tra i tre grandi poeti, il più grande era proprio Ungaretti. Questo per dire che il brutto c'è dappertutto, nel senso che i valori specifici della poesia vengono elusi.

TG: Spieghiamo meglio. Qual'è il vantaggio del brutto nel rovinare il bello?

TK: Secondo me il motivo è abbastanza triste. L'essere umano è un essere repellente perché finalmente con la democrazia tutti possono esprimersi, ma la maggioranza preferisce il brutto.

TG: Perché?

TK: I gusti delle masse sono discutibili: c'è chi dice che il più grande poeta sia Vecchioni, per esempio. Senza dir nulla contro Vecchioni: è un ottimo cantante, ma non è un poeta. La morale può essere diversamente ideologizzata, ma l'estetica no.

TG: Portando alle masse certi concetti, non si rischia di semplificare troppo?

TK: Ma fin dai tempi di Cristo quando la massa ha potuto scegliere tra Barabba o Gesù ha preferito crocifiggere l'innocente... Come diceva Churchill: “La democrazia è una schifezza, ma non c'è niente di meglio.”. Sono d'accordo, però è una schifezza! Ci sono tanti moti che hanno decostituito l'idealizzazione dell'uomo. Probabilmente, ha ragione anche Freud quando dice che secondo un'economia psichica, l'uomo fa quello che fa meno fatica a fare.

TG: E' un animale pigro l'uomo?

TK: E' un economico. Il rapporto sessuale va bene, ma in pochi andrebbero in pellegrinaggio per la loro bella. La maggioranza preferisce la vicina di casa ben pasciuta, piuttosto che far fatica alla ricerca della donna ideale. E così in tutte le cose. E' meglio tacere sul fatto che le donne, spesso, si concedono al danaroso. Per fortuna, non tutte sono così, e quelle più raffinate spesso privilegiano i poeti.

TG: Non ci può essere anche un'invidia dell'uomo medio nei confronti di chi ottiene qualcosa grazie al proprio lavoro ed alla fatica? O verso il genio?

TK: Esiste anche quello, ma soprattutto c'è una propensione ad accalappiare, possedere ed a godere di cose che richiedono meno fatica e procacciano più privilegi... Il poeta potrebbe essere quell'uomo che, a detta di Camus, affronta la fatica, come Sisifo, trascinando l'innata pigrizia. Per pigrizia intendo proprio il fatto di cogliere la prima opportunità sotto i propri occhi, anziché costruirsela. I poeti hanno inventato l'amore, per dirne una, perché prima c'era solo il sesso. Dai latini Catullo e Tibullo, ai provenzali molto è cambiato. Con il Petrarca è stata fatta una rivoluzione del costume europeo perché fino al Rinascimento i cavalieri caricavano sul cavallo la prima ragazzotta che incontravano, la violentavano in un vicolo e poi la buttavano via. Ho documentato il fatto che le cortigiane di Elisabetta la Grande avevano un “Petrarchino” nella scollatura e quando un giovanotto si avvicinava ad una dama e diceva: “Andiamo!” Lei rispondeva: “Prima leggi Petrarca!” Petrarca ha inventato l'adorazione della donna e la religione dell'amore. In questo caso lui è un grande ribelle, al di là della sua vita.

TG: E' questo il merito dei poeti?

TK: Di alcuni poeti che hanno inciso, come l'Alfieri in Italia contro la tirannide. Anche se non credo che durante il fascismo fosse molto coltivato. Ma neppure oggi... Quando la tirannia dei pochi sembra democrazia, ma non lo è. Una maggior democrazia esiste per i consumi. Se voglio bere Coca Cola posso farlo; nessuno mi vieta di bere Champagne. Il vantaggio è che se hai il denaro i bisogni sono uguali per tutti, però è il dio denaro a renderci uguali, non i valori... Il mio euro ha lo stesso valore di quello di un'altra persona, mentre con l'aristocrazia non era così. E' una grande rivoluzione, ma non basta. Il poeta come tale, non è solo un privilegiato in quanto visionario, ma è un cittadino come tutti gli altri, con il dovere di diffondere i valori fondati sulla bellezza (la bellezza ingloba anche il senso morale).

Tomaso Kemeny a casa sua nel suo studio il 18 novembre 2016
Tomaso Kemeny, poeta mitomodernista.

TG: Maestro, con le vostre manifestazioni poetiche pacifiche, che cosa vorreste ottenere?

TK: Il nuovo movimento poetico "Poetry and Discovery", nato dal Mitomodernismo e da "Il Gran Tour Poetico" darà luogo a queste azioni a cui parteciperanno anche poeti da altri paesi. Abbiamo rapporti con ungheresi, belgi, americani, francesi ed altri; tenderemo a dare un respiro più internazionale a ciò che faremo. Già sulla collina dell'infinito di Leopardi erano intervenuti amici da tutto il mondo.

TG: Ma il vostro obiettivo più grande qual'è? Distruggere l'Impero del Brutto? O Ridimensionare lo strapotere del denaro?

TK: A livello utopico, vorremo tornare alle origini dello scambio di doni. Inoltre, contro la logica del: "se non appaio non sono"; cerchiamo d'imporre il: "se non sono, è meglio che studi prima d'apparire". E' una vecchia dialettica tra l'apparire e l'essere. Il denaro favorisce l'apparire, anche di personaggi non presentabili, ma il fatto di avere soldi li rende gli apostoli del Dio Denaro.

TG: Chiedete un ritorno ai valori essenziali?

TK: I valori dell'umano. Si potrebbe obiettare che nell'Antica Grecia c'erano gli schiavi. E' vero. Però è misterioso come un piccolo paese di pecorai abbia avuto un Platone. Naturalmente, il nostro è un movimento in azione ed anche il pensiero deve essere sviluppato La cosa fondamentale è di risvegliare l'immaginazione collettiva al di là delle convenzioni. Risvegliare la creatività che c'è in tutti, almeno a livello teorico...

TG: Beh, sì, a livello teorico, va bene, ma bisogna anche crederci nelle cose, senza pensare d'essere utopisti.

TK: Certo, si crede che prima di lasciare questa valle di lacrime si debba almeno cambiare una Jota nel mondo. Credere nel proprio destino. Il Mitomodernismo diceva che hanno tolto il valore del destino, dell'eroico e soprattutto del bello di cui abbiamo molto parlato, ma è importante anche l'eroico. L'eroe è colui che al di là degli interessi combatte per dei valori.

TG: Questo concetto di eroe non è un po' legato al concetto di patria?

TK: No, oggi potrebbe essere legato alla Patria dell'umano. La poesia è ciò che scorre sotto tutte le lingue. Il pensiero Mitomodernista è sempre stato quello che il pensiero etnico è importante per radicarci. Se uno è nato a Milano, è giusto che ami Milano e la sua terra. Il pensiero mitico invece è quello che ci rende tutti fratelli. Ecco, che il pensiero eroico è necessario e va integrato col pensiero mitico: da qui deriva il Mitomodernismo.

TG: Ci sono pensatori che ritengono i più grandi problemi del XXI secolo irrisolvibili.

TK: Non è vero.

TG: Perché?

TK: Perché non dobbiamo credere ai dogmi. C'è il pensiero dogmatico e quello probabilistico. Come dice Popper: gli scienziati vedono quello che è più probabile ed anche Freud che è un esempio si contraddiceva. Se vedeva che sbagliava si correggeva. Lo scienziato verifica sempre quello che fa, mentre nel dogma non si può correggere niente portando così a conflitti inevitabili.

TG: E' innegabile che la situazione, a livello planetario, s'è molto complicata per ogni cosa. Perfino per queste migrazioni bibliche con spostamenti di milioni di esseri umani nessuno sa cosa fare.

TK: La soluzione ci sarebbe, ma i poeti non possono attuarla, possono solo attivare l'immaginazione per dare a tutti dignità individuale. Mentre a livello politico si potrebbe intervenire. Martin Luther King in modo pacifico ha dato dignità alla sua gente.

TG: A proposito di premi Nobel, Bob Dylan è o no un poeta?

TK: Il Comitato svedese per il Premio Nobel ha fatto l'errore di privilegiare da anni i motivi politici rispetto ai motivi estetici. Già Dario Fo, ottimo attore che ha scritto opere decenti ed anche buone, sicuramente non era come Montale, un poeta, ma un ottimo uomo di teatro. Ci sono tanti altri personaggi, penso a Luis Borges, che non hanno mai vinto il Nobel. O anche Ungaretti. Bob Dylan è un ottimo chansonnier, però in inglese per queste persone c'è un termine che forse è più adatto, cioè: light poetry. Un po' come c'è la musica leggera o la musica di Beethoven. Nessuno direbbe che Claudio Villa o Beethoven hanno fatto parte della stessa categoria, no? Anche se Claudio Villa aveva una bellissima voce. Nella decadenza odierna per molti la poesia si manifesta in canzoni in sé validissime, ma lontane anni luce dal sublime poetico.

TG: Possono esistere dei Beethoven nella nostra epoca?

TK: In teoria sì. Il problema è che hanno sbagliato ad attribuire il Premio Nobel secondo i canoni dell'Impero del Brutto e del gusto collettivo. Io faccio parte di un premio internazionale, lo Janus Pannonius, dove diamo 50'000 euro ai massimi poeti. Il premio è stato istituito dal grande poeta Gèza Szocs, presidente del PEN ungherese, che ha partecipato a nostre azioni e parteciperà all'azione del 3 dicembre. Siccome sono di quelle origini mi hanno messo nella commissione del Janus Pannonius (primo poeta ungherese) e ricordo che quest'anno abbiamo conferito il premio ad uno straordinario poeta polacco che pochi conoscono in Italia, Adam Zadajewki. Negli anni precedenti, l'abbiamo assegnato, nel 2013, alla poetessa iraniana Szimin Behbàhani, nel 2014 a pari merito al francese Yves Bonnefoye e al siriano in esilio Ali Esber Adonis. Infine nel 2015, sempre a pari merito all'americano Charles Bernstein e al nostro italiano Giuseppe Conte. La poesia è una pratica diversa dalla musica, alla quale mancano solo le parole. Il sommo Beethoven giustamente ha affermato che si riesce a fare un'opera d'arte solo se c'è un ostacolo; gli uccelli riescono a volare se c'è l'aria e così in poesia si riesce a fare poesia se c'è un metro, comunque una misura, un limite. Anche in musica. Se invece tutti sbrodolano, dicendo quello che pensano, quella non è poesia, né musica, ma rumore o cicaleccio. Siamo nell'epoca in cui spesso i musicisti o i pittori sbrodolano perché non ci sono i canoni. I canoni ci devono essere. Se non ci sono canoni epocali, ogni artista-poeta dovrebbe inventare il proprio canone, i propri limiti, pur cosmici.

TG: L'armonia è un canone?

TK: Sì, un canone fisico: se uno ha due nasi secondo il nostro gusto percettivo risulta fuori dall'armonia. In musica c'è uno sviluppo, da Bach fino in avanti, oltre tutto è stato riconosciuto 40 anni dopo da Brahms, perché prima pensavano che quella fosse musica da chiesa. Lo è, ma non solo... E così, attraverso Debussy e la dodecafonia, la musica s'è sviluppata e ci sono sempre dei tentativi di bellezza nuova con canoni diversi e nuovi.

FINE PRIMA PARTE
Leggi la seconda parte

Volantino azione poetica Kemeny
La cittadinanza è invitata

La poesia come dono
La poesia, come parola, viene oggi spesso usata in modo indebito.
Per noi la poesia è un dono nato dall'esperienza-intuizione e lavoro di una persona, ma appartiene a nessuno e a tutti.
La poesia nel contesto di una civiltà sull'orlo di un tramonto indecoroso, è in grado di offrire la forma e l'idea di una bellezza nuova.
Le rivoluzioni possono assumere una connotazione poetica perché la poesia è rivoluzione che come tale risveglia le energie del pensiero, l'entusiasmo esistenziale e traccia i confini dinamici di un cosmo nato dal caos indecente contemporaneo.
Nei suoi momenti più alti la poesia sa contrapporsi al tempo che tutto devasta, muta e cancella, e dona ai cittadini quella libertà in cui la loro anima, in un istante fuggevole, si nutre delle sostanze dell'eterno.

Tomaso Kemeny


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