lunedì 12 agosto 2013

Umberto Ceva

A meno di un metro di distanza dal numero civico 49 di via Bramante, c'è una lapide commemorativa che ricorda Umberto Ceva, un chimico che nel 1929, qui venne arrestato dall'OVRA per poi essere incarcerato a Roma, a "Regina Coeli", con la falsa accusa d'aver contribuito a produrre l'esplosivo che venne utilizzato nell'attentato del 12 aprile 1928, giorno dell'apertura della Fiera di Milano. L'esplosione, che probabilmente voleva colpire il re Vittorio Emanuele III, fu terribile e provocò la morte di 20 persone, tra le quali, due bambini. Ceva faceva parte del movimento antifascista "Giustizia e Libertà" e fu tradito da un uomo che credeva suo amico, Carlo del Re. Il giovane ingegnere pavese, sconvolto per dover affrontare un processo che avrebbe portato infamia su di sé ed i propri figli, preferì suicidarsi senza rivelare il nome del suo contatto che invece era una spia fascista. Ceva si diede la morte ingoiando dei pezzi di vetro la vigilia di Natale del 1930, nella cella 440, e lasciò una lettera per la moglie Elena Valla, dove dichiarava la propria innocenza e chiedeva d'essere sepolto nella tomba di famiglia della moglie, a Bobbio.

Umberto Ceva ricordo
Un muro da demolire, una lapide da riesporre

Il muro sul quale è esposta la lapide sarà demolito, come è stata demolita l'area dell'AEM che prima era cinta da queste mura. Sembra che la lapide verrà nuovamente esposta quando verranno terminati i lavori di ristrutturazione di questo isolato, dove aveva trovato la sua base anche il Bulk.



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